Gli ultimi anni hanno visto una netta crescita dei cosiddetti remote workers, coloro che scelgono di lavorare da casa o, più in generale, a distanza, da una postazione che si discosta dalla classica scrivania d’ufficio. Ad oggi, nel mondo, le aziende che lavorano completamente da remoto sono oltre il 16% del totale, mentre più di 6 lavoratori su 10 hanno dichiarato di svolgere almeno una parte del proprio lavoro a distanza. Cosa succederà in futuro? Come si evolveranno le abitudini di lavoro? È ovvio che, in questa situazione di cambiamento, anche le leggi che regolano il lavoro dipendente e, oggi, il nomadismo devono adeguarsi alle nuove esigenze del mercato e dei lavoratori. Quali sono le novità e le conseguenze sulla relativa tassazione?
La prima difficoltà del lavoro a distanza si riscontra quando il Paese del datore di lavoro e quello in cui il lavoratore effettivamente lavora non coincidono. In questo caso, vige sempre la regola: il lavoratore è tassato nel Paese in cui esercita le sue attività. Quindi, se tu sei un remote worker in un Paese, teoricamente dovresti essere tassato sulla base della legge di quel Paese e non del Paese del tuo datore di lavoro.
Ti faccio un esempio: stai lavorando per una società olandese nel Paesi bassi. Ad un certo punto, ti trasferisci temporaneamente in Bulgaria, dove continui a svolgere le stesse attività, per la stessa società. Cosa succede? Potresti essere temporaneamente soggetto a tassazione da parte di entrambi i Paesi. E ti spiego subito il perché: i Paesi Bassi possono tassare il reddito generato dal tuo lavoro a distanza (in Bulgaria) partendo dal presupposto che il tuo soggiorno in Bulgaria sia temporaneo e troppo breve per determinare un cambiamento della tua residenza fiscale. A questo punto, devo anche dirti che la decisione che determina se la tua residenza fiscale possa essere o meno spostata è soggettiva e dipende da caso a caso.
Ritornando al nostro esempio, guardiamo il punto di vista della Bulgaria. La legge bulgara impone che tu non possa essere immediatamente tassato, in quanto devi risiedere in Bulgaria per almeno 183 giorni all’anno e dimostrare che buona parte dei tuoi interessi sia proprio in Bulgaria. Superato questo “limite” temporale, tuttavia, potresti ipoteticamente essere soggetto anche alla tassazione bulgara.
Fortunatamente, Bulgaria e Paesi Bassi hanno firmato un accordo contro la doppia imposizione, proprio per evitare la possibilità che tu venga doppiamente tassato.
Questo per dirti che, se decidi di trasferirti all’estero e lavorare come remote worker, devi informarti bene sulle regole di residenza fiscale applicate sia dal Paese di arrivo sia da quello di partenza, ma anche sull’esistenza o meno del trattato sulla doppia imposizione firmato dai due Paesi interessati. È solo grazie a questo modo che puoi smettere di risultare residente fiscale nel Paese di partenza ed esserlo solamente nel Paese di arrivo. Così, oltre a evitare la doppia imposizione, puoi compilare la dichiarazione dei redditi e la restante documentazione fiscale in modo completo e corretto.
Nonostante quanto appena detto, devo fare una precisazione: al momento non c’è certezza sul momento preciso in cui un lavoratore a distanza smette di essere residente fiscale nel primo Paese e lo diventa nel secondo. E, purtroppo, questa mancanza di certezza può portare ad alcune problematiche giuridiche e persino a una doppia imposizione. Cosa fare, quindi, se vuoi trasferirti all’estero e spostare la tua residenza fiscale? Consulta un esperto fiscale che possa darti una risposta concreta riguardo i Paesi a cui sei interessato.