In questo report scoprirai perché i vecchi paradisi fiscali offshore non funzionano più e perché noi abbiamo creato una strategia completamente nuova realizzata con la collaborazione dei più importanti tributaristi europei.
Lo abbiamo detto più volte nei nostri report e nei podcast, il mondo dell’imposizione fiscale è cambiato radicalmente negli ultimi 30 anni. La globalizzazione ha aperto dei campi di sviluppo completamente nuovi che stanno mettendo in ginocchio gli Stati occidentali. Le persone e le imprese non sono più schiave del sovrano di turno quindi possono girare e muoversi in piena libertà e impostare la propria sede dove preferiscono, anche offshore.
Si pensi all’Italia: una volta le aziende dovevano sottostare alle leggi del governo corrotto di turno che prelevava tasse assurde per comprare clientele e consenso politico. Oggi le aziende possono facilmente stabilirsi a Malta, Albania, Slovenia, Romania e Svizzera per sfuggire alle tasse italiane e soprattutto senza intaccare la propria quota di mercato in Italia.
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Grazie agli accordi internazionali e a Internet tutto ciò è diventato una realtà. In molte aree del mondo le aziende possono comunicare con i clienti a distanza e possono far girare le merci senza pagare dazi. Ovviamente il sovrano e i parassiti che vivono alle spese dello Stato odiano questa situazione.
Questo nuovo scenario ha portato negli ultimi anni centinaia di imprenditori a girare il mondo in cerca del migliore sistema fiscale dove impostare la propria azienda. Negli anni ‘90, agli albori della globalizzazione, decine di micro paesi, soprattutto tropicali, si sono dichiarati pronti a offrire condizioni estremamente vantaggiose agli imprenditori europei ed americani. Nascevano i paradisi fiscali offshore che per 20 anni hanno costituito un incubo per le agenzie fiscali europee e americane.
Non solo offrivano aliquote da sogno (0% di imposte su reddito di impresa), ma permettevano addirittura di registrare società anonime. In questo modo si è alimentato un incredibile fenomeno di evasione fiscale e di riciclaggio di denaro sporco. Si pensi ai Panama Papers che sono l’esempio più recente di ciò.
A causa di questa situazione anche chi restava in Italia si avvantaggiava di questo nuovo sistema violando le leggi locali ed evadendo allegramente il fisco locale. Ovviamente questo fenomeno era particolarmente diffuso nei paesi ad alta tassazione (Europa e Stati Uniti).
Ma in questi anni gli Stati non sono rimasti a guardare e, per iniziativa dell’OCSE, hanno preso delle contromisure molto severe. Sono state firmate delle convenzioni che impongono regole molto restrittive sulla trasparenza bancaria (FACTA, CRS, FATF, ecc.).
Negli anni recenti i controlli e le misure di prevenzione si sono inasprite parecchio e sono state create delle liste nera nelle quali sono stati inseriti tutti gli Stati che non implementavano misure di trasparenza in modo da combattere riciclaggio di denaro sporco (trafficanti di droga), terrorismo e evasione fiscale.
Bisogna ammettere che queste misure hanno funzionato molto bene perché quasi tutti i paesi al mondo hanno implementato misure di trasparenza bancaria e hanno voltato le spalle ai trafficanti di droga e agli evasori fiscali.
Per esempio venti anni fa le banche americane pagavano multe per milioni di dollari, oggi con le nuove regole pagano miliardi di dollari di sanzioni. Nel 2014 la BNP Paribas ha pagato 9$ miliardi per aver violato le sanzioni contro il Sudan, Cuba e l’Iran. Deutsche Bank ha pagato 630$ milioni per essere coinvolta nel riciclaggio di denaro sporco proveniente dalla Russia. Si tenga conto che spesso le banche non sono a conoscenza di ciò, ma con le nuove norme internazionali l’onere del controllo cade interamente sulle loro spalle.
Lotta ai Paradisi Fiscali Offshore: Colpiti Anche i Business Legali
Tutto ciò teoricamente non dovrebbe importare molto ai piccoli imprenditori che lavorano nella legalità. Costoro non sono né trafficanti di droga né evasori fiscali, le PMI fanno tutto alla luce del sole! Eppure anche loro potrebbero essere fortemente colpite da queste misure.
Dobbiamo premettere che tutte queste misure non intaccano minimamente la libertà di movimento degli imprenditori e la libertà di stabilirsi, nel pieno rispetto della legge, in uno Stato con una tassazione più bassa. Nessun accordo internazionale può vietare questo principio sacrosanto, che è alla basa dell’esistenza stessa dello Stato nazione.
Qualsiasi paese può stabilire la propria aliquota di tassazione e qualsiasi individuo può stabilirsi in un altro paese. Questo e l’ABC!
Ma sebbene questo principio sia ufficialmente sacro (su tale principio è basata l’organizzazione delle Nazioni Unite e tutti gli accordi internazionali) di fatto viene violato dalle contromisure prese dagli Stati e dall’OCSE.
E’ una follia, ma tant’è!
Infatti gli Stati occidentali hanno oberato le banche di un peso di responsabilità tale da spaventarle fino al punto che adesso queste si rifiutano di aprire un conto corrente ad un’azienda localizzata fuori dal territorio del proprio paese. A maggior ragione se tale paese è un’isoletta tropicale o se è considerato paradiso fiscale dai media.
Attenzione non sto dicendo che le banche non aprono conti correnti ai paesi che non hanno firmato i trattati sulla trasparenza bancaria. Questo sarebbe giusto al 100%. Sto dicendo invece che anche se un’impresa è residente in un paese che ha firmato tutti i trattati sulla trasparenza, le banche di un altro paese tendenzialmente si rifiutano di aprire il conto corrente a quell’impresa perché hanno paura.
Il principio che si sta affermando è che le banche aprono i conti correnti solo alle aziende situate sul proprio territorio (es. una banca austriaca apre conti correnti ad imprese austriache, una banca spagnola ad imprese spagnole, e così via).
Se invece il paese dove è incorporata l’azienda si chiama Bahamas, Bermuda, Barbados o qualsiasi paese anche lontanamente richiami l’idea di Tropico o di paradiso fiscale viene creato un muro da parte della banca che se ne lava le mani. Il suo ragionamento è il seguente: nel dubbio preferisco non aprirgli nulla perché se sbaglio una virgola me la fanno pagare carissima.
A Hong Kong si è arrivati al punto che il conto corrente non te lo aprono nemmeno se la tua azienda è situata a Hong Kong stesso.
Se invece l’azienda è situata in un paese con una buona nomea (UK, USA, Francia, Italia) una banca estera è disposta ad aprirgli un conto corrente? In tal caso le possibilità che una banca apra il conto corrente ad un’azienda situata in un altro paese con una buona nomea salgono, ma non è sicuro al 100% che ti aprano il conto corrente. C’è molta confusione a riguardo.
The Economist riporta in “The Great Unbanking” (8-14 luglio 2017) che la Barclays ha chiuso il conto corrente a centinaia di piccole aziende e altre banche stanno facendo altrettanto.
Per esempio in Svizzera la situazione è diventata incandescente e per aprire il conto corrente ad un’azienda straniera chiedono carte su carte. Specialmente se tale azienda è situata a Hong Kong o nei tropici. Farebbero sicuramente meno problemi se l’azienda fosse situata in Italia o Francia.
In pratica le banche sono terrorizzate dalla severa regolamentazione varata in questi anni dagli Stati e dalla paura di commettere qualche errore.
Poi ci sono i paesi che sono fuori dal mirino dell’OCSE che godono di qualche libertà in più. Questi non sono paradisi fiscali offshore, bensì paesi a fiscalità agevolata.
Per esempio in Georgia alcune banche sono disposte ad aprire il conto corrente ad aziende italiane, in Estonia in via di principio possono aprile ad aziende di paesi tropicali ma con costi di gestione più elevati. Tutto ciò però avviene solo se fornisci le garanzie necessarie alla banca.
Quindi anche business legali sono stati colpiti dalle folli misure dell’OCSE e oggi ci troviamo nella curiosa situazione che principi sacrosanti come la libertà di movimento e di libero stabilimento sono violate dalla paura generata da queste contromisure. Tali provvedimenti non violano esplicitamente questi principi, ma l’effetto è tale perché le banche sono:
– bloccate dall’enorme mole di materiale documentale che devono produrre (per cui sono disposte a farlo solo se ne vale la pena, ovvero per somme di denaro elevate)
– impaurite dalle severe sanzioni per cui nel dubbio hanno un atteggiamento troppo conservativo (non ti aprono un conto corrente nemmeno se sei il Papa della Chiesa Romana)
Che succede se hai un’azienda nei Vecchi Paradisi Fiscali Offshore?
Cosa succede nel concreto se hai una società nei vecchi paradisi fiscali offshore? Che se hai una società su un’isola tropicale, generalmente additata dai media come paradiso fiscale, le banche si spaventano e non ti aprono il conto. Una follia, perché molti paesi tropicali si sono adeguati alle normative internazionali e non sono più paradisi fiscali. Ma al sistema bancario non importa, è troppo terrorizzato dalle ripercussioni eventuali.
Ecco perché dico che si tratta di terrorismo psicologico nei confronti delle banche.
Quindi, da un lato possiamo dire, che molti schemi illegali, che andavano di moda fino a pochi anni fa, adesso sono impossibili da realizzare (mi riferisco a strutture tipo aprire una LTD in Belize anonima), ma dall’altro strutture legali e perfettamente lecite se includono anche solo uno di questi paesi diventano molto sospette e le banche assumono un atteggiamento conservativo.
Fino a poco tempo fa si potevano aprire società e conti correnti all’estero in paesi in cui non eri residente. Potevi aprire un conto corrente in un paese diverso da quello in cui era incorporata la società.
La situazione è diventata insostenibile. Hanno difficoltà persino gli specialisti, figuriamoci i poveri imprenditori che candidamente si presentano in banca. Persino le banche stesse hanno difficoltà ad aprire un conto corrente presso un’altra banca perché queste non si fidano le une delle altre. I rapporti interbancari dopo queste norme e dopo la crisi dei subprime sono diventati terribili: le banche non si prestano soldi tra di loro.
Perfino le banche centrali di alcuni Stati come Liberia e Belize si sono viste chiudere conti correnti presso banche commerciali europee e americane.
Non sono esclusi da questo fenomeno nemmeno le società di trasferimento di denaro che stanno chiudendo oppure che si affiliano a Money Transfer e Money Gram che invece essendo grosse entità hanno le risorse per adeguarsi alle nuove normative internazionali. Ma una cosa è certa, per via di questa iper-regolamentazione i costi di gestione di banche e società di trasferimento denaro stanno salendo in tutto il mondo.
Ma tornando a noi, se vuoi aprire un conto corrente all’estero della tua azienda, quello che conta veramente è la reputazione dei paesi coinvolti e la residenza dell’azienda. Se il paese dove hai l’azienda è un paese considerato “paradiso fiscale” allora avrai dei problemi. Se invece imposti la tua azienda in un paese non bollato come Paradiso Fiscale hai una vita molto più facile.
Oggi è meglio creare un’azienda in Bulgaria, Georgia, Inghilterra. Questi paesi hanno legislazioni fiscali molto favorevoli alle imprese e al contempo non sono considerati dei centri di riciclaggio di trafficanti di cocaina.
Ricapitolando:
- E’ sempre più difficile incrociare i sistemi fiscali dei diversi paesi soprattutto se coinvolgono paesi poco credibili (specialmente paradisi fiscali offshore).
- In via di principio conviene aprire il conto corrente aziendale nello stesso paese dove è situata l’azienda
- Fino a qualche anno fa esistevano banche europee e americane che accettavano di aprire conti correnti a società incorporate in paesi offshore. Oggi questo è diventato quasi impossibile.
- Tutto ciò non c’entra nulla con la possibilità del singolo individuo di aprire conti correnti all’estero. Questo si può ancora fare con semplicità.